BROGLIACCIO DI SCARNA VERITA'

BROGLIACCIO DI SCARNA VERITA'
schizzi, ricordi, appunti, foto, notizie su e di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

venerdì 8 novembre 2013

Giuseppe D'Ambrosio anni '70, tessera ATM di Milano


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo nel 1981

foto tessera del 1981

ACQUAVIVA DI PRIMAVERA

schizzi contadini del 1979

ACQUAVIVA A MILANO


ACQUAVIVA A MILANO   
Me ne sono andato con il mio figliolo Angelico e due carrellini di libri. All'Urban Center della Galleria di piazza del Domm. Era un ufficio della Scala là una volta, e facevano la reclame ai pezzi d'opera e ai concerti, ai maestri direttori d'orchestra più famosi del mondo. Appena entrato mi hanno guardato con diffidenza, i due uscieri, con i miei carrellini della spesa dietro.
   "E' qui per l'incontro di Acquaviva delle Fonti?", ho chiesto.
   "Sì, è qui", mi hanno risposto a malincuore.
   Ho letto nei loro pensieri e ci ho visto i soliti pensieri sui terroni invadenti e rompiballe. 
    Io comunque, come se niente fosse, mi son preso due tavoli e ho sistemato alla buona i miei libri. Mi aiutava Angelico.
    Milano è anche la mia città, e allora mi sentivo legittimamente a casa mia.
    Quasi subito è venuta Antonia Sardone, l'assessora alla cultura, e dopo i saluti mi ha dato un quadro di Acquaviva, la Cassarmonica in veduta naif. Ho preso dei pannelli, lì del Comune, e l'ho sistemato alla meglio. Gli uscieri finalmente, dopo aver pensato che, giacchè c'eravamo, meglio era prendersela allegra e con pazienza, mi hanno aiutato e lì accanto al tavolo della conferenza ecco accanto a una veduta della Scala anche la nostra Cassarmonica.
   Ho visto le sedie davanti al tavolo, davvero pochine. Appena 5 o 6. Ho chiesto se ce n'erano delle altre da qualche parte. Mi hanno risposto di sì, dopo qualche decina di secondi di conclamata riluttanza.
   "Le porto io, e dopo, non preoccupatevi, alla fine di tutto le rimetto a posto sempre io", ho detto.
    Così si sono sciolti e mi hanno fatto vedere il locale dietro una tenda dove erano assiepate una trentina di sedie. Con l'aiuto del mio figliolo Angelico mi son messo a fare avanti e indietro con le sedie. Qualcuna l'hanno portata pure gli uscieri, finalmente convinti che sicchè i monaci erano entrati tanto valeva prendersela a risate.
   Alla fine ho visto il risultato, una trentina di sedie messe alla buona, a arco, davanti al tavolo della conferenza. Il risultato era più che accettabile.
   E' arrivato anche Davide e gli amici cuochi e pasticcieri di Acquaviva, ci siamo salutati con affetto e calore, scambiandoci battute salaci sul fatto che ce ne stavamo lì, nel pieno centro della grande Milano, con le nostre piccole incredibili cose del nostro Paese.
   Arrivano anche il vicesindaco di Cesano Boscone e il presidente del consiglio del Comune di Milano, Basilio Rizzo, un vecchio compagno di Rifondazione. Saluti e conversazioni molto amichevoli, foto di rito fatte alla buona con i nostri mezzi.
   Arrivano tanti "paesani" emigrati a Milano, professori, studenti, impiegati, direttori di teatri, dirigenti, gente comune. L'atmosfera è cordiale, amichevole, come in un ritrovo di paese in trasferta tra antichi compagni di scuola, come in effetti, in parte, è.
   Davide va a sedersi al tavolo delle conferenze e comincia a parlare di Milano come la più grande confederazione di Comuni d'Italia, è un'immagine bella e veritiera. Milano è un crogiuolo di culture e di esperienze di tutta Italia, ora pure di tutto il mondo, con i nuovi tempi. C'è Telenorba che riprende e anche altri fotografi che riprendono le scene di questo incontro tra amici.
   Va al tavolo delle conferenze anche il presidente dei Pugliesi a Milano, la più numerosa comunità di regione in città, Bresciard, ex-fruttivendolo, ora pensionato, di Barletta. Davide dice che è arrivato a Milano in autostop, con un autista di ortofrutta di Acquaviva, Giovanni Giorgio, storico corriere di paese tra la Lombardia e i "paesani" emigrati al nord.
   Si parla pure di Girolamo Cornetta, bandista e musicista jazz di Acquaviva, membro della banda dell'ATM, l'azienda dei trasporti municipali di Milano, morto in circostanze tragiche in città, lo ricorda il figlio, ora anziano. Storie che si mescolano a storie tra Milano, la città più industriosa d'Italia e il popolo minuto della nostra cittadina di contadini lavoratori.
   Si ricorda pure Giovanni Ingellis, grande animatore culturale di Acquaviva, vero pioniere esperto di fumetti, in tempi non sospetti, e anch'egli emigrato a Milano per motivi di lavoro. Ha lasciato in chi lo ricorda una viva ammirazione e un sincero affetto. Sono presenti la figlia e la moglie.
   Intervengo anch'io e ricordo i profondi legami di Alda Merini con il nostro Sud, e anche il mio amico scrittore Bruno Brancher, anche lui molto legato alla Puglia per le tempestose vicissitudini della sua avventurosa esistenza di poeta popolare.
   Finalmente Gino Cassano, Eustachio Sapone e Michele Cirielli portano nello spazio dell'Urban Center i piatti tipici del nostro paese. Piatti poveri della nostra squisita cucina contadina: fave e cicorie, polpette di pane, calzoni di cipolle, panzerotti, dolci e dolcetti di buonissima pasticceria. Immancabile il nostro buonissimo vino primitivo. Tutti si fiondano al piano alto dove sono allestiti i tavoli delle leccornie e delle prelibatezze varie. 
   Io rimango di sotto, con i miei libri, a parlare con i vecchi amici, i figli dei vecchi amici, ora a Milano per un motivo o per l'altro, chi per studio chi per lavoro. Mi metto a parlare fitto fitto con loro, e chiacchiera tira chiacchiera, ricordo evoca ricordo.
   Il mio vecchio amico Gino Cassano mi porta una porzione di calzone con la cipolla. "Peppino, se non te lo porto io un pezzo di calzone, te rischi proprio di non assaggiarlo per niente", mi dice sorridendo. Io lo prendo e me lo mangio perchè ho parecchia fame, è buonissimo e davvero chissà da quanto tempo che non lo assaggio, certo a Milano non sanno manco cosa sia.
   Arriva anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e saluta con calore il nostro sindaco Davide Carlucci. "Ieri mi arriva un messaggio sul telefonino dove mi dice 'Sto arrivando in autostop a Milano'. Certo ve lo dovete tenere molto caro questo ragazzo nella vostra Acquaviva, chissà quante iniziative nuove e di grande creatività riuscirà a inventarsi come sindaco", racconta. Davide ringrazia e comincia a elencare i personaggi e le bontà del nostro paese, tanti, troppi, non si riesce a dire tutto. Acquaviva viene invitata all'Expò 2015 di Milano con i suoi prodotti tipici. E finalmente anche Pisapia va ad assaggiare il nostro famoso calzone con la cipolla...
    Si continua con i crocchi, i capannelli, le risate, gli abbracci, i saluti, i ricordi. I gruppetti si formano e si disfano, tornano a formarsi... Con il bicchiere di plastica mezzo pieno di vino in una mano, un pezzetto di calzone nell'altra mano... 
    E' stata davvero una bella festa di altri tempi. 
    Pian piano la gente se ne va, salutandosi a più riprese. Come se avesse dispiacere a separarsi. Io rimango alla fine e con gli uscieri, tutti finalmente di buonissimo umore, dopo i dolci e il vino primitivo, e rimettiamo a posto le sedie. Regalo loro qualche libro di Alda Merini e ne sono felicissimi, Alda è amatissima a Milano, credo la più amata tra i poeti.
    Gino Cassano alla fine mi regala 3 bottiglie di primitivo e parecchi pacchi di orecchiette. "Abbiamo abboffato i milanesi oggi e a Peppino niente?", dice a Eustachio Sapone e Michele Cirielli. Preparano la macchina, posteggiata accanto a Palazzo Marino, in piazza della Scala. Davide dovrebbe partire con loro, ma la macchina è pienissima di attrezzi e tavolinetti, c'è pochissimo spazio. "Dai, sindaco, ficcati là che te ne vieni con noi", gli dice Michele. Ma lo spazio è davvero strettissimo, un viaggio così lungo in quelle condizioni è davvero improponibile. "Prendo il treno delle 8, ragazzi, non preoccupatevi per me", dice Davide. Antonia Sardone è con il suo fidanzato, felicissima. "Dopo un'estate passata a lavorare il nostro assessore alla cultura si prende le sue meritatissime ferie", ci dice Davide. Poi aggiunge: "E ora vado a ringraziare il direttore e i lavoratori del Biffi per l'aiuto che ci hanno dato. Oh, amici, il Biffi, il più famoso ristorante di Milano, ci ha aiutato a fare il nostro buffet oggi". Infine ci salutiamo, promettendoci di ritrovarci tutti al più presto ad Acquaviva. Io con due grosse buste di plastica piene dei doni dei miei cari concittadini in trasferta.
     Gino Cassano dice alla fine: "Oh, ora chiudiamo la macchina e andiamo in Duomo a salutare la Madonnina. E che cosa? Siamo venuti a Milano e non possiamo mica tornarcene senza andare a vedere la bella Madonnina! Altrimenti chissà cosa potrebbero mai dire di noi!"
   Così infine ci separiamo e li vedo andarsene tutti, in fretta, per via Marino, tra i bar, le caffetterie all'aperto, i negozi d'arte, ad andare a ringraziare i camerieri del Biffi e poi a salutare la Madonnina.
   Angelico mi dice: "Papà, quando ce ne andiamo ad Acquaviva? Si sta bene là".
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO   


  
     

martedì 1 ottobre 2013

SOLE DI FINE SETTEMBRE

29 settembre 2013
    c'è il globo del mio tempo in cui sguazzo senza quasi avere lo spazio di farmi nemmeno un mezzo giro. ladri, impostori, spacciatori, gente violenta e cattiva. no, non si tratta di giornali o di televisione, si tratta della mia vita, della mia strada, del mio mondo reale. e io che continuo a non crescere, a fare il ragazzo anche alla mia età, a continuare perfino a scrivere poesie. ci sarebbe da piangere a pensarci bene, o da riderci, ed è proprio quello che faccio io. ma l'arte ti salva. spunta sempre, da non so dove, un angelo, un nume, un dio protettore che ti tira via dai guai sempre all'ultimo momento.
    al mio paese i contadini dicono: "ai pazzi e agli ubriachi li aiuta sempre Cristo". io ci aggiungerei pure gli artisti, i poeti, gli scrittori vari. che sono a un tempo pazzi e ubriachi. comunque si ritorna sereni anche nel bel mezzo di un manicomio in subbuglio.
    il giornale ormai, la mia vessata "repubblica delle lettere", la leggo ormai solo un giorno alla settimana e anche male. mi basta e avanza, in una settimana non riesco a digerire tutto quello che leggo, ad almanaccarlo, a inquadrarlo. preferisco allora passare le mie giornate con Novalis, Frost, Onetti, i miei scarni appunti di prosa in vista di un romanzo che stenta a presentarsi. i tempi sono dispersi, come fare solo a progettarlo un capitolo intero? io vivo per strada, in un cantuccio, con i miei libri. me ne dicono di tutti i colori. con la mia bancarella striminzita. Alda mi diceva sempre: "Giuseppe, te mi ricordi proprio la piccola fiammiferaia, sempre al freddo, sempre in balia delle onde. dai, beviti un bicchiere di vino ora, ti dà calore". Alda era astemia, non beveva, ma il vino per gli amici ce l'aveva sempre in casa...
    "ma come? questo qui sta per strada?", ha detto un tizio allontanandosi al suo amico. un tizio che evidentemente mi conosceva, ma io manco di striscio lui.
    "perchè? che credi che vita facciano i poeti in Italia, pivellino?", mi son ruminato addosso io stesso.
    sono abbandonati, negletti. però di straforo ti arriva una banda che ti viene a suonare proprio davanti. dopo pesanti minacce di pioggia è spuntato persino un sole potente. era bello il suo calore forte dopo il freddo patito appena dieci minuti prima. la banda si è sbizzarrita di brutto con le sue antiche melodie milanesi. la vita è bella, è dolce, e allegra. nonostante tutto e il contrario di tutto. la vita è pure prima di tutto poesia. i librai sul Naviglio si son tutti rallegrati fin nel profondo, insieme a tutti i loro libri di poeti, di romanzieri, di filosofi. i quadri risplendevano, belli anche loro nel pieno fulgore di quel forte insperato sole di fine settembre. hanno pure guadagnato bene tutti. Milano ci ha il cuore grande, non lascia mai nessun artista senza pagnotta. l'importante però è che non piova pure di domenica...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO 

sabato 28 settembre 2013

DESTINO DI PIETRA IN UN MONDO DI FIORI

    Siamo quello che siamo, con mille stanze per le nostre speranze. Andiamo sempre avanti restando al contempo sempre allo stesso posto. Ora gli uomini sembrano fatti di pietra, con il cuore di carta custodito nel portafoglio, ma il destino di noi tutti resta pur sempre quello che è. Tra un pò sfrattano pure Dio dalla chiesa se non si sbriga a pagare l'affitto, il demonio dice quello che vuole e con queste leggi che inventano i potenti la vince sempre lui. Un uomo con 10.000 case ne abiterà solo una, per evidenti questioni di limiti umani, ma intorno quante urla e quante umiliazioni. In fondo tutti gli uomini hanno le loro preoccupazioni, ma ognuno dice all'altro: mors tua vita mea. Nessuno più ha voglia di sorridere. Io per conto mio vado sempre rasente i muri lungo la strada, e preferisco di gran lunga starmene da solo. 
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 27 settembre 2013

TRE MATTI ALLA FIERA DI BELGIOIOSO, nel 1991 forse




    dalla sinistra: Luca Gandolfi, Giuseppe D'Ambrosio, Fabrizio Fortini. Era la prima Fiera di Belgioioso, forse il 1991. I Libri Acquaviva.
    Fino alla fine li demmo tutti via, a poco prezzo, sempre poveri ma felici. Quelli sulla sinistra sono tutti libri fatti a mano.

UN TIPO ALLO SBARAGLIO

        Qualsiasi uomo ama il sapere perchè il suo piatto gli sta particolarmente a cuore. Non scherzo, a nessuno piace avere per secondo un piatto di erbe. Comunque per sapere bisogna penare, perchè la bellezza la vogliono tutti e allora si va in combattimento. Non c'è bellezza e carne alla brace per tutti e allora si ricorre al sapere per vincere non per perdere. Ma lo spirito è bravo a cambiare le carte in tavola e allora ci racconta la favola della superiorità del sapere fine a se stesso. E' un fuoco d'artificio che non fa male a nessuno e non teme sconfessioni, tanto per perdere ha già perso.
     Di alleati non ce ne sono perchè ognuno corre per sè, intanto ci si arrangia credendo ancora come degli idioti alle vacche verdi che volano. E infine non è proprio detto che a qualche contadino non gli piacciano davvero i secondi di zucchine arrostite. Metti infatti i tipi allo sbaraglio come me.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL NOBILE

        Io sono quasi sicuro di essere un nobile, infatti non ho una lira, mi son venduto tutti i pupazzi e neanche il treno mi piace più prenderlo. Poi adoro dormire, corro a cavallo, fumo tabacco pregiato ma senza inspirare un bel nulla, sono  patriarca di una numerosa famiglia, sono un autentico simbolista, e ho pure una cassetta di antiche monete fuori corso che non mi prende nessuno quando vado a fare la spesa. Mi vendo pure i miei libri perchè non ci metto nulla a farmene degli altri. Ho paura della rivoluzione, ma per il fatto che ormai non arrivi più. In tutte le partite c'è sempre un arbitro che prima mi ammonisce e poi mi espelle, quasi sempre a gioco concluso. Incontro però una volta ogni 3 anni qualcuno che si interessa a me, vuole sapere se conservo ancora i temi della scuola elementare, quando gli rispondo che me li ha buttati da tempo mia madre, mi volta le spalle e mi toglie il saluto. Io allora vorrei dir loro che sono pure laureato in Filosofia, ma poi temo che mi dica come mi disse una volta mio padre contadino: "Filosofia? E cos'é?"
    Sono comunque un vero nobile perchè davvero sono figlio di uno zappatore.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

DIALOGO DI DUE VICINI IN UNA CASA RINGHIERA

    Mi hanno sempre snobbato per il fatto che me ne vado con i miei libri per strada, per il fatto che trovo sempre il portone del castello sempre chiuso. E così me ne vado vagabondando per la città come un dannato di manicomio, come un balordo gatto randagio di casa-ringhiera. Le ronde dei panzoni si fanno un sacco di risate alle mie spalle, perchè di fatto sono davvero un uomo molto ridicolo. Il bello è che faccio ridere pure me stesso, e allora mi salvo ancora. Sono uno scrittore invisibile, e allora è un pò dura credere in me. Forse sono proprio un'anima senza corpo, oppure proprio un corpo senz'anima, chi lo sa? Forse anche il mio cervello come le mie tasche è vuoto. Ma l'ironia mi salva la pelle, e vorrei davvero con tutto me stesso essere così stupido come il re della repubblica delle banane.
    "Guarda che con me rischi grosso, sono così potente che ho 1000 giornalisti di cronaca al mio servizio", mi dice Urcuz, mio vicino di casa in cura ai servizi di igiene mentale.
    "Per è già troppo il citofono del mio palazzo, gli dico io, suona sempre e per delle minchiate così pazzesche!"
    "Dovresti chiedere aiuto a un vescovo", dice lui.
    "Se è per quello nemmeno un caporale ne vuole sapere niente di me", dico io.
    Quello mi porta un borsone di scarpe usate e mi dice: "Cerca qua in mezzo, può pure darsi che ci sia il tuo numero".
    "Non credo, ho un tallone d'Achille molto permaloso", dico io.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

giovedì 26 settembre 2013

MANIFESTO SU UN MIO CORSO SU DOSTOEVSKIJ

   vecchio manifesto di un mio corso su Dostoevskij 
tenuto a Milano,
presso la Libera Università Popolare. 
  negli anni 1992-1996

BENZINAIO A 12 ANNI


benzinaio a Acquaviva nella stazione di servizio 
"Olio Fiat", sulla via per Sannicandro, 
all'età di 12 anni, frequentavo la seconda media,
con mio padre Michele Angelillo,
nel 1967


90 INIZIATIVE CULTURALI A COSTO ZERO, perchè tutti i soldi a disposizione dovevano andare ai poveri del mio paese




     assessore con delega ai servizi sociali e alla cultura nel mio comune di Acquaviva delle Fonti, nella giunta del sindaco Nicola D'Ambrosio, nel settembre 1998

IL MEDIANO NELLA BIRRA romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA



prima copertina del romanzo 
"IL MEDIANO NELLA BIRRA", 2001

on www.books.google.com

GIuseppe D'Ambrosio scrive

Giuseppe D'Ambrosio scrive,
ad Acquaviva, a casa di mia madre
nell'aprile 2013.
un breve romanzo dal titolo: "Pasqua".

CON STEFANO ZECCHI

con Stefano Zecchi, mio professore di filosofia,e caro amico, alla Statale con il quale mi sono laureato con una tesi intitolata "Utopia in Marx e Bloch", e sulla mia sinistra il mio amico poeta Roberto Longhi, nel 1986, dopo una conferenza del professor Stefano Zecchi su Ernst Bloch, al Goethe Institut di Milano.

CON ALDA MERINI

con Alda Merini, nel 2002.
dopo averla presentata in una serata in suo onore
al Castello di Galliate

AL BAR DELLA STATALE nel 1979

al bar della Statale di Milano, nel 1979.
accanto a me sulla mia sinistra Aldo Leomanni (sempre Aldo Settecervelli nei miei racconti e romanzi), Ascanio Vaccaro, Enzo Botrugno,
sulla mia destra Carcaterra.

Giuseppe D'Ambrosio, contadino ad Acquaviva

Giuseppe D'Ambrosio, contadino ad Acquaviva nel 1983.

BULLAZZE E MARMITTONI 38 racconti metropolitani di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA

38 racconti metropolitani
on www.books.google.com
(prima edizione)
40 acquarelli a colori

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, disegno di Liisi Paasuke settembre 2013


disegno di Liisi Paasuke, settembre 2013

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO su Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

CORRIERE DELLA SERA su "SUPERPAZZI" racconti metropolitani di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

mercoledì 25 settembre 2013

NERINO E JOSEPH K. protagonisti di "SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA", romanzo

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RIVOLUZIONE romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA

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ON www.books.google.com

“RIVOLUZIONE” DI GIUSEPPE D’AMBROSIO, EDIZIONI ACQUAVIVA, MILANO, OTTOBRE 2007.


A leggere “Rivoluzione” di Giuseppe D’Ambrosio si corre proprio il rischio di farsi travolgere da una grande ondata creativa, politica ed esistenziale, libera da qualsiasi schema, struttura, griglia semantica e interpretativa.
E il modo migliore per vivere questa esperienza in pieno è proprio lasciarsi andare e trasportare dal continuum, dal flusso del suo linguaggio corporeo, vivo, sensuale, pulsante.
La punta più aguzza e la cifra di “Rivoluzione” sta nel fatto che “la Gioventù sarà sempre più potente di tutte le antiche sapienze”, perché “Gioventù è lotta, sempre…è l’orgogliosa estasi di poter fare a meno di tutto e di tutti, anche di toccare la terra con i piedi”!
E l’autore, l’ultimo “cavaliere libero e selvaggio” nel nostro asfittico panorama letterario ci aggancia da subito con il racconto estremo e trasognato del suo viaggio personale di ragazzo del sud all’assalto di una Milano spossante e fumosa di asfalto e misteriosamente labirintica, per farci la Rivoluzione.
È in questo sfondo metropolitano con i suoi personaggi disperati e le sue donne ammaliatrici e irresistibili che incomincia la caccia furiosa all’abbattimento del limite, nonché la scalata al cielo di un ragazzo che “vuole tutto”.
In ogni incontro, in ogni esperienza il nostro protagonista è come se gustasse estatico e senza ritegno la felicità assoluta dell’estremismo, scatenato come un funambolo assolutamente incosciente che gioca in contemporanea sulle tre corde, le uniche sue coordinate di viaggio, la libertà, il sogno-utopia e la speranza.
E devo dire che, forse, senza rendermene conto questo è il libro che aspettavo da molto, perché tratta per noi, ragazzi del ’77, degli anni più belli che ci sia stato dato da vivere, della modifica radicale del nostro vissuto, dell’utopia, del bisogno di giustizia, della rivoluzione sessuale.
E la sfida avendo a che fare con questo “materiale” è quella di raccontare senza definire, senza cadere nelle trappole dell’ideologia, senza la costruzione di mappe e geometrie, in un territorio in cui i vecchi orientamenti non tengono e non devono tenere più.
Forse si tratta di narrare attraverso frammenti con una scrittura che tagli – cut up – circoscrivendo ogni frase, lasciando parlare il più possibile le differenze.
“Rivoluzione” non è propriamente una storia, ma un percorso, un continuo e pressante incitamento, sollecitazione a “perdersi”, a gustare con l’autore l’ebbrezza estatica, dionisiaca, la felicità e la ricchezza di quegli anni irripetibili per cercare anche di capire in questo modo così unico le ragioni di una lunga primavera di intelligenze.
Nello stesso tempo, il resoconto immaginifico delle battaglie sociali del proletariato è un contro canto incalzante al diffondersi di determinati spunti della libertà.
A Milano si svolge l’epopea alla scoperta dei meandri stranianti e sorprendenti della città vissuta parecchio di pancia, con tutti i 5 sensi ben accesi, senza perdere nessuna occasione di godimenti meravigliosamente reichiani, non tralasciando il racconto dell’oppressione capitalistica, della comunità resistente, della rivolta che serpeggia ed esplode, della controcultura inarrestabilmente underground.
Il parlato è essenziale continuamente rimixato con un ritmo a volte di puro rap antesignano, furibondo hip hop da marciapiede, il lavoro è di uno smontaggio e rimontaggio a combinazione dove il materiale verbale pre-esistente alla scrittura vera e propria è di una potenza emotiva ed autenticità di sapore inconfondibilmente dostoevskijano.
Eppure gli anni della Grande Rivolta, ciò che li rende così affascinanti è che sono come un tempo che non ci vuole lasciare, e quello che D’Ambrosio sperimenta fino in fondo nel suo romanzo è questa capacità, qualità speciale di permanenza di quel periodo per chi lo ha vissuto.
La sua scelta linguistica incisiva e coraggiosa arriva a conquistare una musicalità, una sonorità espressive immediatamente riconoscibili tramite l’utilizzo di codici diversi uniti dalla tensione interiore di questa epica fuori dai canoni del buonsenso e del senso comune.
La sua maniera è calda, forte, energetica, fisicamente spudorata.
Trovi premonizione, intuito, istinto, senso della corrente, lui è dentro al farsi stesso della corrente metropolitana, dove navigano a vista le sue donne un po’ puttane e i suoi re clochard bevitori impenitenti, lui è come un surfer che partecipa a ogni evento, a ogni scontro non restandosene mai fermo a guardare dalla spiaggia.
Ha questo fiuto quasi animalesco, senso della strada, istinto di riconoscere fra tutte le onde quella che fa per lui, la sua onda, quella assolutamente da cavalcare, lungo giornate vissute senza schemi, senza regole da rispettare, senza conti da far tornare, qui è tutto Rivoluzione, tutti i parametri non funzionano più, è un black-out generale, un tilt a ripetizione come gli orgasmi delle sue belle.
Siamo in una situazione di frontiera avanzata nella quale le mappe convenzionali non tengono più, non ci servono più a niente e vi consiglio anzi di buttarle, perché si tratta di sviluppare l’istinto del pioniere.
D’Ambrosio ha indubbiamente aperto con questo libro un grosso spazio comunicativo, di grande potente energia, mescolando azioni, gesti, oggetti, parole, pensieri e cose tutti insieme fino a produrre un’alchimia artistica sempre più esplosiva.
Ecco perché vi suggerisco di fare questa esperienza lasciandovi trascinare fino in fondo in questa grande, gioiosa, estatica Rivoluzione.

Maria Theresa Venezia.



KILLING GENIUS BANG romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA


GIALLO METROPOLITANO FUTURISTA
senza assassini
ma con un tentato omicidio reale:
l'intelligenza di tutti.



ACQUAVIVA DI PRIMAVERA di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

[acquaviva.jpg]
Poesia e filosofia quotidiana del mondo contadino
di un paese della Puglia: Acquaviva delle Fonti.

on www.books.google.com

Giuseppe studia Dostoevskij

BETTY PAGE romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA



1056 PAGINE, 100 ACQUARELLI DI BETTY PAGE.

Psicoromanzo di un folle.
Incubi, sogni, speranze di una gioventù sballata, senza lavoro e senza futuro, che vuole ancora salvarsi e andare avanti dritto verso l'orizzonte, qualunque esso sia.

"Ho un programma: farmi pazzo".
DOSTOEVSKIJ

on www.books.google.com

TIPI ITALIANI

ON THE ROAD



lunedì 23 settembre 2013

SUPERPAZZI (VOL. 3) 69 racconti metropolitani di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

on www.books.google.com

ITALIA Acquaviva di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


"L'Italia è fatta,
ora facciamoci gli affari nostri".
FEDERICO DE ROBERTO, I Vicerè

Raccontini, fiabe, proverbi, ricette 
di ogni Terra d'Italia,
ognuna bellissima e inimitabile.

on www.books.google.com

CONFESSIONI DI UN CANE romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA

Un cane parla e racconta come vede la vita un cane.

"Più conosco gli uomini più amo i cani".
ARTHUR SCHOPENHAUER

on www.books.google.com

pag. 338, illustrato

SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo ACQUAVIVA



L'ALEPH. Recensione di Maria Teresa Venezia al romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo "SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA", Acquaviva, maggio 2009

Devo dire che quando Giuseppe D'Ambrosio mi annunciò nel cuore dello scorso lunghissimo inverno: "Sai, Spinoza se ne va in Terra Santa...", guardai fuori dalla finestra la neve che non smetteva di cadere silenziosa e pensai: "Ecco, adesso ci si mette anche lui! E' uno dei suoi tiri di scrittore irriverente..." e invece, sul finire della primavera, quando mi ritrovai con il suo nuovo libro tra le mani capii che era tutto vero!

E non mi sono certo tirata indietro, avviandomi anch'io in compagnia del misterioso filosofo alla volta della Terra Santa di tutti noi...

Procedendo di giorno in giorno nell'attraversata, parola dopo parola, pagina dopo pagina e capitolo dopo capitolo, mi sono accorta che mi trovavo difronte a quello che Jorge-Luis Borges, grande maestro d'incantesimi, definì in uno dei suoi racconti più indimenticabili, un Aleph.

Giuseppe D'Ambrosio aveva indubbiamente scritto un libro così, un libro-Aleph, ma per farvi capire di più bisogna che provi a spiegarvi cos'è un Aleph...

Un Aleph è il punto che contiene ogni cosa, ma non è il semplice "riassunto" delle cose, racchiude ogni cosa nella sua completezza, è la coesistenza di tutto, accuratamente sovrapposta e trasparente, così da poter vedere nella sua distinzione ogni elemento come entità autonoma, è per questo che l'Aleph contiene anche noi stessi, quello che è stato, ogni luogo e anche il testo che state leggendo, ed è in virtù di questa insolita natura che Borges lo descrive agilmente, in poche pagine, eppure possiamo trovarvi in esse l'intera narrativa di Borges stesso, la sua vita e ogni cosa immaginata fino ad allora.

Possiamo trovare un Aleph nei punti più impensati, dietro una pietra o nell'angolo buio della cantina, probabilmente senza vederlo, una cosa comunque va ricordata, una piccola parte di Aleph è dentro ognuno di noi, lo costruiamo attivamente attimo dopo attimo e l'Aleph incompleto e parziale alimenta la memoria che contiene tutti i nostri passati distinti e innumerevoli, vita dopo vita...

"SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA", non ho dubbi, ha queste caratteristiche, proprio per la capacità dello scrittore di farne un piccolo cosmo, un dispositivo che contiene a sua volta tanti piccoli mondi, tante, numerosissime vite, una carrellata costruita, a piccoli punti, di tipi umani straordinari, nel senso letterale del termine, fuori da ogni pensabilità, ordinarietà, dotati di nomi burleschi, fantasiosi, fiabeschi, inconcepibili, ma che non si possono dimenticare, Sciaccupazzu, Pizza Sconcosciata, Basco Rock, Afrone lo Sciattone, Alice Sfasciabrande, e così via, tutti descritti con una gioia contagiosa, sempre con quella rara generosità fino al ripudio di ogni senso del risparmio, o senso del limite narrativo, che ti fanno riconoscere lo stile di Giuseppe D'Ambrosio lontano un miglio.

Tra questi personaggi, le cui vicende s'intrecciano alla vita e nella vita di Joseph K., il protagonista, come una luminosa sciarada di fili colorati che si combinano e si scombinano per formare trama e tessuto del libro, ha un posto particolare un gatto, grosso e nero e parlante, che si chiama Nerino, un gatto con gli stivali, metropolitano, che vi sfido a mettere nel sacco, che accontentandosi di una scatoletta di tonno, possibilmente di quelle da 500 grammi, offre i suoi servigi al suo Joseph, un padrone un pò ingenuo e speranzoso, che vuole proprio bene a tutti, qualche volta, stralunato, che dorme e sogna, sogna e dorme, nella sua casa dei morti, là dalle parti della Barona.

Questo animale sapiente, vi ricorderà, è inevitabile, il gatto calzato della fiaba della vostra infanzia, anche se Nerino non arriva a trasformare il suo padrone nel Marchese di Carabas, ma certo, mettendolo in guardia dalle mille trappole di una Milano sempre più pornografica e sfrenata, lo strappa più volte dalle grinfie di astuti "volponi" e seducenti donnine.

La trama, lo avrete capito, è corale, fatta contemporaneamente di amori in corso e di flash-back di amori passati, di tradimenti e di amori superfatali, di incontri lungo un viaggio che è più un'attraversata, compiuta rigorosamente in tram, dell'amata Milano, con uno sfondo assolutamente non compatto, che lascia intravedere, a intermittenze, nel ricordo, la campagna, la Puglia e il suo sapore di terra, di frutti, di umori insinuanti, ed è così che s'infiltra incessantemente la presenza quasi fisica del paese natale, Acquaviva, con la nostalgia del padre, della madre, della loro lingua e dei proverbi dei compaesani, contraltare al cinismo, alla laconicità cittadina, al suo linguaggio finanziario e finalistico, quasi robotico.

D'Ambrosio va, lungo il fluire delle cose, delle vite, a cassetta del suo caleidoscopico carrozzone, guidando con mano leggera, va, lungo quell'arteria direttrice dell'intero romanzo, che è il correre, lo scorrere, l'andare, con le movenze dell'acqua, alla ricerca della Terra Santa di ciascuno e ci porta in una struttura narrativa che ci appare sempre più simile a un quadro di Marc Chagall, un mondo colorato che ci comunica allegria e tristezza e ironia e ancora allegria, un mondo colorato come se fosse visto attraverso le vetrate di un'antica cattedrale, o magari proprio dello stesso Duomo di Milano...

E se torniamo ancora a Chagall, quando dice:

"Mia soltanto è la patria della mia anima. Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a casa, essa vede la mia tristezza, è la mia solitudine, ma non vi sono case, furono distrutte durante la mia infanzia, i loro inquilini volano ora nell'aria in cerca di una casa, vivono nella mia anima, perchè mia soltanto è la patria della mia anima..." ecco, c'è un'eco di questo medesimo pensiero nella Terra Santa di D'Ambrosio, che intimamente "lavorata" dalla metafora della lontananza e dell'approdo, dal desiderio della patria dell'anima, per ogni esule, come noi siamo, che cerca quella Gerusalemme indivisa in quanto tollerante di ogni differenza, perchè, in fondo, Gesù non era forse un Ebreo e un Palestinese?

Per questo penso che proprio là Spinoza doveva andare e allora correte a leggere la sua straordinaria lettera di commiato, con la sua firma, là, a conclusione del romanzo, perchè rappresenta la cifra dell'opera di D'Ambrosio e non dimenticatevi che il misterioso filosofo, fabbricatore di lenti e cabalista segreto, meditatore di Talmud e di Sephiroth, nella Gerusalemme del suo cuore, propose un modello di mondo in cui si tratta di:

"Attraversare la vita non con paura e pianto, ma in serenità, letizia e ilarità..."

E non è questo che Giuseppe D'Ambrosio, libro dopo libro, ci invita a fare?


MARIA TERESA VENEZIA

domenica 22 settembre 2013

CHARLOT Acquaviva (di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo)



IL POETA
Una volta Charlot disse a un suo amico poeta:
"La Poesia è una lettera d'amore al mondo".
"Sì, peccato che però il mondo non abbia ancora imparato a leggere", disse il Poeta.

La semplice saggezza del più grande attore comico del mondo: Charlie Chaplin.
on www.books.google.com

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo L'EBREO NELLA NEVE romanzo ACQUAVIVA





    "Impossibile restare indifferenti alla lettura di un romanzo di Giuseppe D’Ambrosio e anche questo ultimo suo lavoro non fa eccezione.
   Ci troviamo ad attraversare un impetuoso flusso che potremmo definire di “memoria” dalle differenti correnti che ci conducono ad approdare, talvolta, ma non sempre, nell’ isola dell’infanzia e della giovinezza dell’autore, dove vengono svelati ricordi, immagini, voci, dei genitori, dei fratelli, degli amici, dei compagni di scuola, tutti, mai dimenticati.
   Il romanzo è costruito su differenti piani, ma collegati da un filo rosso che occorre saper afferrare per poter tenere l’orientamento nel fantasmagorico labirinto della scrittura, si inaugura così fin dalle prime battute questo gioco al perdersi e ritrovarsi che prosegue senza interruzione, appena un attimo prima eravamo seduti a conversare con un improbabile personaggio ebreo in un quartiere della vecchia Milano e l’istante successivo eccoci negli assolati e gioiosi vicoli e piazze della amata Acquaviva!
   Questo déplacement, però non si limita alla dimensione dello spazio, ma viene a toccare anche quella del tempo, esattamente come accade in certi processi di pensiero caratterizzati da un potente metonimia.
   Il lettore si trova dinanzi a vertiginosi “punti di fuga” che potrebbero evocare non solo certe opere di pittura astratta, ma soprattutto alcuni pezzi musicali, barocchi e jazzistici ad un tempo, per cui l’intero romanzo è pittorico e musicale contemporaneamente, come ibridato con una suprema “maestria”.
   Giuseppe D’Ambrosio ha un grande pregio, ovvero, sa essere di una semplicità disarmante e quasi simultaneamente, come tutti i veri artisti, di una sofisticata eleganza, terrestre e aereo nello stesso tempo, così in questo straniante romanzo, straniante perché famigliare e alieno, solare e lunare, di natura cangiante e sfaccettata fino alla vertigine.
   Lo stesso autore a tratti sembra invitarci a seguirlo nelle sue epiche attraversate, affascinanti quelle sotto la neve, su cui ritorneremo, della città di Milano, rigorosamente, a piedi, camminando, e questa camminata rappresenta il momento, il tratto metaforico, di condensazione, di simbolo, del “movimento” a cui il lettore deve sapersi unire per godere appieno di questa opera particolarissima.
   Il fatto che lo scrittore venga spesso scambiato “per un ebreo”, potremmo definirlo un vero e proprio focus del romanzo, invenzione letteraria che giunge a far penetrare fin sotto la pelle l’unheimliche, l’in-domestico, la stranianza, l’estraneità, in cui D’Ambrosio è di volta in volta, di libro in libro, un vero e affermato maestro.
   Quindi “Un ebreo nella neve”, così, il titolo che richiama l’incredibile capitolo che forse riassume in sé tutto il senso del romanzo, capitolo di una straordinaria e commovente bellezza, in cui lo scendere della neve diviene quasi tattile, ci invade fisicamente, animando il paesaggio urbano, divenendo un personaggio di candida purezza.
   Quasi magica la neve, che viene a portar via la tristezza, la delusione, la grande malinconia di cui il protagonista è intriso, mentre abbandona una casa, per lui ostile, preferendo inoltrarsi nella notte e in questa neve celeste, che a poco a poco lo ricoprirà completamente.
   Tale è il momento di sintesi del libro, momento che sta a indicare come il sapersi staccare, il saper lasciare, salpare, mollando ogni ormeggio, abbandonando così “la terra ferma” delle sicurezze e delle convenzioni di qualsiasi natura esse siano, ovvero il saper trovare “l’ebreo” in ciascuno di noi, rappresenti una chance impareggiabile, da non rifiutare, mai, vincendo quella paura che talora costringe la nostra nave a stare ferma in porti sicuri, ma opprimenti quella parte della nostra natura più intima che aspira incessantemente a compiere quei passi nel profondo della notte e nella neve più fitta per poter andare incontro al proprio vero 
destino."
MARIA THERESA VENEZIA

on www.books.google.com

"La neve va e viene
ma l'Ebreo è sempre là".
PROVERBIO YIDDISH

venerdì 20 settembre 2013

ECCOLA LA VITA, MI SON DETTO



    sono entrato in libreria e c'era poca gente. i librai parlavano della pasta all'amatriciana e delle mattonelle del cesso che costavano troppo. tra dostoevskij e alice munro. anche lì best seller dappertutto. molti libri mi sembravano vecchi, scritti da anime morte. la libreria stessa mi è sembrata un camposanto, un posto morto. allora me ne sono uscito e son salito in piazza duomo. e lì come per incanto mi son trovato davanti la bellezza della vita. una turista bionda, tutta vestita di nero, snella e molto alta.
   "eccola la vita, mi son detto. quella vera".
   la bellezza viva mi camminava davanti. poco lontano si è abbracciata al suo ragazzo e si son messi a baciare, lì, davanti a tutti. erano belli a vedersi. si son fermati e continuando a tenersi abbracciati si son messi a guardare la bellezza maestosa del duomo, tutto bianco e luccicante nel sole forte del tardo settembre. sembrava che erano davvero estasiati e del loro amore e della grandiosa visione d'arte che avevano difronte.
    io ho continuato per la mia strada. un nero che vendeva libri me ne voleva affibbiare uno, io l'ho scansato.
   "nemmeno uno sguardo?", mi ha detto con una vena di malinconia.
   "che ci vuoi fare?, gli ho detto io. non ci ho una lira".
   infatti in libreria volevo comprare due libri e non li ho comprati. per assenza completa di soldi.
   due libri di poesia, uno di buffoni e un altro di benedetti, il romanziere uruguagio. li ho leggiucchiati a lungo e mi son sembrati entrambi molto forti. li volevo davvero comprare ma son stato costretto a mollarli lì, dove li avevo trovati.
    più avanti un fotografo indiano attirava l'attenzione sparando pernacchie spudoratamente, e grattandosi le palle in maniera provocatoria e grossolana. tutti scappavano da intorno a lui. si vedeva che disprezzava tutta la gente occidentale che aveva dattorno. la gente faceva persino finta di non vederlo ma lui continuava imperterrito a spernacchiare a tutto spiano. a me faceva ridere.
   due si baciavano e se ne fregavano di tutto il mondo, indiano pacchiano compreso.
   una vacca con posa da pin-up tutta truccata e imbellettata pesante, tutta vestita d'azzurro, si faceva fotografare da un tipo che sembrava un pappone sudamericano. era un servizio per chissà quale giornale patinato della larga pampa argentina.
   una cinese altissima, quasi sicuramente una modella di seconda categoria, le spalle un pò curve per via della sua altezza davvero impressionante, se ne andava con aria vergognosa e timida, quasi dovesse scusarsi con tutti della sua presenza lì, nella piazza più prestigiosa di milano.
   una rossa inglese invece se ne andava tutta fiera dei suoi merletti e delle sue sete e soprattutto della sua superba capigliatura rossissima. sapientemente truccata se ne andava piano, tirandosi dietro il suo piccolo trolley, assaporando ancora la mirabile visione del duomo tutto illuminato e splendente nel sole caldo. camminava lenta e misurata anche per far risaltare meglio i suoi eleganti vestiti e i veli e le organze. faceva finta che la valigetta a rimorchio le dava un gran fastidio, ma non era vero. era solo una gran bella ragazza che voleva essere ammirata quasi fosse lei stessa all'altezza della possente bellezza del duomo.
   all'angolo invece c'era un filosofo russo, la lunga barba incolta, che inginocchiato chiedeva l'elemosina. sembrava il vecchio tolstoj, il sapiente monaco florenskij. nessuno badava a lui, che davanti aveva un piccolo tappetino con qualche moneta da 50 centesimi.
   su un muro un manifesto gigante che recitava in caratteri cubitali giallastri: "il futuro del tuo lavoro". sotto un giovane pezzente chiedeva anch'egli l'elemosina. la barba nera, la fronte altera, gli occhi imploranti, ma non visto saettavano bestemmie invisibili.
    a che posto sei tu nella classifica degli scrittori italiani, amico mio? e chi lo sa? se lo sapessi forse smetterei di scrivere ma non lo so e allora mi va ancora alla grande...
    un pescivendolo, più in là, vende uno strano pesce con su scritto "lampuga", non è un pescecane ma fa paura pure lui, e se lo vendono forse è pure molto buono da mangiare.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
    

INTERVISTA a Giuseppe D'Ambrosio Angelillo (Blog Fuoridiclasse - Scuola Media Tabacchi Milano)

Intervista a Giuseppe D’Ambrosio Angelillo

Intervista esclusiva a Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, amico di Alda Merini, rimastole accanto fino alla  sua morte. Un racconto pieno di storia letteraria intriso di commozione. “La poesia è saper esprimere la sensibilità. Quello che bisogna abolire è la precarietà mentale.” Dice alla redazione Fuoricl@sse. “Alda l’aveva capito. E vedeva  in tutte  le cose ciò per cui esprimersi.”
In occasione della Giornata mondiale della Poesia abbiamo incontrato nei locali della redazione di Fuoricl@sse Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, laureato in Filosofia all’Università Statale di Milano, scrittore fierissimo di non aver mai vinto un premio che ci ha raccontato la commovente storia della sua amicizia con Alda Merini partendo dal loro primo incontro che gli ha trasmesso la grande passione per la poesia. Autopubblica i suoi libri e ancora oggi, scrive sul suo sito,  frequenta “L’Università della Vita” dove studia molto con incerto profitto.

Alda Merini
Che ricordo ha di Alda Merini?

L’ho conosciuta a metà degli anni ’80 al bar della Chimera, a Milano, una libreria con annesso un ristoro. Alda andava a leggere le sue poesie, a regalarle. Era molto povera in quegli anni. Dopo il fallimento del suo matrimonio, non aveva molto. La sua casa, dove accoglieva tutti, rimase sempre quella di Ripa di Porta Ticinese al 47. Non ha mai “tradito” il Naviglio, nemmeno quando, oramai famosa, le chiedevano se volesse cambiare casa. “Qui sono nate le mie figlie”, diceva. “Non posso andare via. Qui abita il mio cuore, e non posso abbandonarlo.” La sua casa era come un nido degli uccellini, e non è un eufemismo. Lasciava il balcone aperto ed entravano i passerotti con cui parlava. Il Naviglio a cui si riferiva sempre Alda era un Naviglio popolare, abitato da povera gente, ma allo stesso tempo allegra e molto solidale, di vero buon cuore. Alda era una persona meravigliosa. Ti occupava tutta la vita. Non era un’amica che si faceva sentire una volta ogni tanto, ma ti raccontava tutto chiamando in continuazione. La Merini era, non a caso, una delle pochissime autrici e poetesse che non avevano abolito il confine tra poesia e vita. La poesia era la vita, come il titolo del suo libro “Più bella della poesia è stata la mia vita”. Alda aveva la grande sapienza di vedere la poesia nelle piccole cose. Aveva fatto solo la scuola dell’avviamento, suo padre non voleva che continuasse a studiare perché era una femmina: lei non si arrese e continuò a studiare.

Giuseppe D'Ambrosio con Alda Merini nel 2001
Com’è diventata una poetessa così famosa?

Era la figlia di una famiglia molto povera. Non aveva nemmeno la scrivania per scrivere, eppure da un cantuccio umile ha scritto capolavori che hanno fatto la storia della letteratura italiana. E cominciò a scrivere da quando era molto piccola sbalordendo tutti. La Bur, una casa editrice, pubblicava allora piccoli libriccini con tutti i capolavori della letteratura italiana a 50 lire. Lei si fece la cultura su quei libri. Un giorno, la sua professoressa di italiano, mentre frequentava la scuola di avviamento al lavoro, ovvero la scuola media per i poveri, si accorse del suo raro talento. Conosceva un redattore di una rivista letteraria che aveva bisogno di una dattilografa (cioè di una persona che sapesse trascrivere velocemente su una macchina da scrivere). E visto che Alda era molto brava, la professoressa decise di presentarla. Quel giorno in redazione c’era Giacinto Spagnoletti, un critico che se ne intendeva di poesia. Questa professoressa gli disse: “scrive poesie bellissime”. La guardarono e per poco non scoppiarono a ridere perché increduli che in una ragazzina di appena 14 anni potesse nascondersi un genio. Quando si decise casualmente a leggerle, non credette ai suoi occhi: si rese conto di essere davanti a un miracolo della natura, un prodigio. Fu così che decise di pubblicarle nella sua raccolta dei poeti italiani, “Antologia dei poeti italiani fino al dopoguerra” (dai primi dl novecento fino a metà degli 50).
È cambiata la poesia oggi?

La poesia è una dimensione universale. Che ci siano grandi poeti o che non ci siano non cambia proprio nulla. Deve esserci sensibilità e questo dipende dagli occhi delle persone. La bellezza sta in tutte le cose, anche in quelle che sembrano imperfette. Quando andavo a scuola ed ero costretto a imparare a memoria Iliade e Odissea, mi immaginavo un mondo meraviglioso. Dipende da quello che noi creiamo con la nostra mente. Poesia è una parola greca che significa proprio “creazione”. Un mio racconto può diventare universale attraverso una comunicazione di sensi e di significati che appartengono a tutti. Per gli orientali la poesia è zen, cioè dono, regalo. Per esempio, fare la redattrice per un giornale così piccolo come il vostro, è una grande poesia. Ma la poesia non paga. Quando vai in libreria a comprare un libro, paghi carta e inchiostro e non il lavoro del poeta. Il poeta non si fa i soldi con la poesia. Alda vendeva decine di migliaia di libri ed era rimasta povera. Così come Umberto Saba. Quando ero piccolino, guardando una sua intervista in tv, mi rimase impresso il rattoppo che aveva sulla giacca e la scrivania fatta di cose molto povere. Mi colpì la povertà di un poeta famoso. Lui si è guadagnato da vivere facendo il libraio.
Cosa Le è rimasto di questo esempio di vita?

Tutto, soprattutto la semplicità con cui dobbiamo vedere la realtà. Dobbiamo avere il giusto valore delle cose. Faccio un esempio: una redazione, come questa, nella sua semplicità, senza lustri e lustrini. Questa è poesia, è una cosa bella. Se si è bravi ad osservare, si vede intorno tanta poesia. La poesia sta in tutte le cose ed è un’esclusiva di tutti gli esseri viventi. Alda scriveva poesie in continuazione, fino alla fine della sua vita. Mi ha dettato delle poesie persino nella sua ultima notte. Mi ha trasmesso questa passione enorme. Ho creato un blog “Soldato rock” dove ho pubblicato moltissimi suoi componimenti. Alda rimarrà un grandissimo esempio. La sua opera deve essere ancora riscoperta tutta. Quando andavi a trovarla ti regalava una poesia. Ti diceva prendi la penna e scrivi: e dettava.
E della polemica degli ultimi giorni sulla Divina Commedia?

Dante è il poeta più grande della letteratura italiana. Ci sono poeti stranieri che imparano l’italiano per studiarlo. Quindi la polemica degli ultimi giorni non è da considerare. L’Italia unita c’è grazie a Dante. Ha unificato l’Italia non politicamente, ma culturalmente con il suo poema e con la parola “amore” che racchiude lo spirito dell’italianità.
Ma lui parla anche dell’inferno.
Parla di tutto. Ha catturato tutta l’italianità. “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, c’è una rivoluzione dell’”io”. L’era moderna nasce tutta da lì.
Da quanto tempo fa questo lavoro?

Ero figlio di contadini e da piccolo andavo con mio padre a lavorare. Mi alzavo la mattina alla 4 per andare nei campi. Ma capivo che non era quello che volevo e allora ho cominciato a studiare: era il mio modo per evadere. Oggi vivo di cultura. Sono un autore che si auto produce e cerca di esprimere le piccole cose con semplicità. Come diceva Epicuro, un grande filosofo greco, ci sono i bisogni naturali e quelli innaturali. I primi, come mangiare, dormire, sono facilissimi da esaudire; gli altri sono quelli della mente e sono impossibili da esaudire perché non ci si può accontenta. Scrivere è andare oltre, oltre se stessi, oltre gli altri, oltre il piccolo posto dove per caso siamo capitati, e vedere cosa c’è di buono per noi che ancora non riusciamo a sapere, se per scalogna o per pigrizia non abbiamo il coraggio e la forza di andare oltre. E questo benedetto andare oltre molti la chiamano Speranza.
La redazione di Fuoricl@sse